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A volte scrivo racconti brevi.
Resoconti intensi di incontri veloci, impressioni di un attimo, impronte profonde che si perdono allontanandosi.
Altre volte sollevo la penna, avvicino la lente all’occhio, scatto, racconto, e mi fermo, sapendo che per quanto io possa a lungo la lasciare penna e lente appoggiate, ad aspettare che la storia si svolga, arriveranno altri cinque, dieci, cento giorni in cui tornerò a prenderle in mano, ad avvicinarle, avvicinarmi.
E ricomincerò a raccontare, come se mi fossi appena interrotta.
La storia di Eva e Matteo è un tomo sul comodino, uno di quei libri grossi e rassicuranti che appoggi felice accanto al letto sapendo che ti terranno compagnia a lungo.
Comincia in tempi sconosciuti, e deriva la sua trama da racconti di cui intravedo solo qualche passo, riflesso nei ricordi, nelle facce, nei personaggi di oggi.
La storia di Eva e Matteo, da quando la conosco, è una scelta allegra e gioiosa, di quelle gioie democratiche che ammettono sacrifici e rinunce, qualche dispiacere, per ingannare le curve della fortuna, e riuscire a cavalcarla insieme.
Oggi vi racconto un capitolo di questa storia, che comincia con una lettera d’amore.